pausa ad Ostuni - foto di ulup

Ero molto indeciso se fare questa premessa. Mi bloccava il fatto che qualsiasi mio intervento in un articolo del nostro professore Bruno Cicchetti non sarebbe stato comunque all'altezza della situazione. Per questo vorrei che queste mie parole si facessero piccole piccole cosi' da non interferire con cio' che segue. Ho pensato che un ringraziamento a Bruno, piu' sentito che mai, dal sottoscritto e da parte di tutta la comunita' di qTp fosse doveroso. Solo questo. Grazie Bruno, grazie per dedicarci il tuo tempo prezioso e in particolare per questa perla che mi ha emozionato particolarmente.

(Giancarlo Farina)

Ho scritto un racconto in versi, quasi una ballata, pensata assieme agli amici d'avventura, ai quali ho chiesto alcune foto, e realizzata con un ritmo narrativo, in versi barbari, vale a dire con ritmi più quantitativi che fondati sull'accentazione tonica, per far scivolare più facilmente le mie emozioni. Il che mi ha permesso di stabilire quasi un costante contrappunto tra questa terra meravigliosa, aperta a spazi quasi siderali e fermata in un tempo irreale e la mia, stretta, spigolosa, nervosamente abbarbicata a radici che sembrano sgretolarsi ad ogni passo.

Dove ogni istante sembra rappresentare una tappa della resistenza della natura, ugualmente prodigiosa, alla minaccia della corrosione e della contaminazione della sua millenaria integrità. Lì in mezzo ci sono i miei sentimenti e quelli che ho interpretati dall'animo dei miei amici. E' un nuovo capitolo del mio discorso sul rapporto tra poesia e fotografia. Dedico questo mio lavoro a tutti gli amici del forum ed in particolare a Lorenzo Vitali e a Palmerino, che, per diversi motivi, come ho scritto, mi sono e ci sono mancati molto.

(Bruno Cicchetti)

 

 

L'incontro

Non so quanto ti devo, ma è amore che mi porta nel tuo cielo, Itria di sole, dove ogni sasso divora una striscia di luce e ogni mio respiro pulsa il bisogno di scoprirti, ritrovarti come un viandante stanco quando scendo a Palese. Ad attendermi un amico sconosciuto m'accoglie e mi conduce dove vent'anni prima fu mio figlio a prendermi per mano. Ora Luca mi riporta dentro un sogno come specchio dietro l'ombra della mia solitudine, e più tardi compresi che la stessa storia per incanto ricompone quell'ansia nell'attesa d'altri suoni altri colori, altri sensi accesi che questa terra mi ridona sull'onda di labbra lontane, sussulti piccoli di vita e le parole di amici che rivedocon le loro borse, la consolazione di un abbraccio a questa pena nascosta che mi rode. Cinzia, Enrico, Alberto, e poi Giancarlo, che compare e sparisce nel prodigio del mattino a Monopoli e muore a Polignano, per rinascere ancora tra le rocce d'Ostunie nel miracolo di Conversano. Altri passi , parole amiche di Maurizio che scende dal suo treno e corre a noi con Ilaria. Poi una sera nel trullo dove un uomo ricostruisce tra le braccia del figlio la storia dei trulli, la gioia, il dolore e tutto il bene e il male di una vita. Mi manchi troppo Palmerino, mi manca il tuo sorriso, la tua eterna e dolce melanconia, maestro di vita e di pazienza, di semplice coraggio quotidiano, anche di fotografia. Tu rimani a Bergamo nel segreto di un nuovo amore o di una bella disperazione. Sentirci uniti dentro un albergo di Bari, chi è giunto chi dovrà arrivare e chi non viene più ma è dentro il cuore. Qui nella prima sera ci riconosciamo e nella luce di rare incandescenze, al caldo d'una cena col tuo vino, scattiamo le nostre prime foto mentre ci guardiamo, parliamo e ci raccontiamo .

 

Pietre, sole ulivi

Ora calpesto il prato tra gli ulivi e inginocchiato scruto fra quei nervi altri sassi sgusciati dove s'apre un buco e corrono nel cielo neri uccelli in fuga dal piccolo falco della Murgia. Ma il verde del bosco è un nuovo verde che pende e scola nell'umetto dell'aria l'ansia delle foglie: ghirlande che sciolgono le forre e distendono coltri d'infiniti verdi, terra di colori, che al mattino ridipingi lo smalto scuro della notte in abito diverso, che rimane fisso come il sorriso dei tuoi vecchi e l'urlo smarrito del bambino che insegue la sua palla fino al cielo. Dove sono, le tue donne in una forte sinfonia d'incensi ardenti come abbracci di sangue e di fatiche, nel bianco di fervide cucine o nel fumo di torridi bucati? Dove sei tu, fantasma dei miei giovani anni che ti aggiri ancora forse nella calura di Messina, stramazzato come un destriero sull'asfalto, quando seppi il mio male e chiesi a Dio la forza di sollevarmi ancora, di guarire? Ma la brezza ci ristora e tra i fossi dei bronchi vuoti fugge il tasso e la pietra vive al sole e da lui si nutre o si consuma coi miei anni nel tempo che mi è dato. E' questo il nostro modo di scoprire tra le pietre il sole e tra gli ulivi un poco appena di questo tuo mistero. E passano multiformi piccole vite fra le nostre mani, cacciatori di luce, d'immagini, di sogni, soldati d'un istante ad intrecciare un canto muto di questo nostro tempo breve ed intenso: fotografi oggi del cielo, del mare della pietra. Guardate e pensate prima di sparare le vostre pallottole di luce: ora il verde dell'ulivo vibra d'un altro amore. La falena del bosco s'è librata e lascia una stria di malva: unisce il verde delle agavi ai contorni gialli del taràssaco selvaggio. L'aria s'allarga come il braccio d'una madre e il suo fianco sposta il profumo di magnolie sulle labbra. Siamo nel cerchio d'un incanto che vanisce in un bianco fumo, che ci slaccia e ci sposta ad oriente dietro le ali del remoto mare. Polignano è sopra le rocce, a picco sul mare, i suoi colori sono un incanto pastellato, dove il cielo sembra dipinto dal mare ed esso a sua volta ridipinge tutto il cerchio dell'orizzonte da levante all'occaso. E' facile pensare che queste tinte che si fondono con le tonalità d'infiniti verdi, così irrealmente maliosi abbiano potuto ispirare il poeta musico che qui nacque e qui trascorse la sua giovinezza, prima di donare a tutti le sue tenui e dolci poesie e le sue belle canzoni. Mi capitò molti anni fa, a Londra di entrare con un amico in un club di jazz, quasi esclusivamente popolato da gente di colore. Il grande sassofonista che riconobbe che eravamo italiani, interruppe il suo pezzo e intonò per noi "Volare" di Domenico Modugno. Cosi', come qui, nel blu dipinto di blu. Di fronte alla difficoltà di riprodurre col sensore policromo la bellezza strana di questa natura ho sentito più viva l'assenza del nostro "Vittali", trattenuto a Milano da impegni di lavoro.

 

Nel blu del cielo dipinto dal mare

E mi manchi qui ed ora a Polignano, caro compagno dei miei voli, Lorenzo milanese, dove il cielo dipinge il mare e il mare il cielo così pastello tra l'ocra della terra e il verde azzurro intenso, da sbiadire i miei colori, ma tu li comporresti con il tuo bianconero magico che si fa luce e si rifà poesia e ci trasporta in un canto che ora m'abbraccia e m'ubriaca quando rubo l'abbaglio giù dal ponte alla pallida chiglia. O si tuffa ebbro di sole il martinpescatore che ama l'onda. Ma sei forse nel vento se sbreccia la mutria del drago di ferro quando ne colgo l'ombra irsuta che si staglia a capo basso in mezzo alla scogliera? Qui il cantore poeta certo vide il cielo smisurato dipingersi di blu qui con le braccia aperte cominciò a volare, dove ritorna verso mezzogiorno l'ultima barca spersa col cordame arrotolato e le reti dense d'arsilio. Dietro lo scoglio basso della cala più vicina il pescatore calafàta la sua poppa. Già scendiamo un poco per salire ancora verso il borgo e lì sull'uscio la vecchia pensosa fissa il cielo. Una finestra semichiusa, una persiana smeraldo, un vaso di gerani rossi e un'ampolla sopra un terrazzo a mare: Luca compone la sua natura morta. Ferve la vita nell'attesa che ferisce il mare e dove è più ferma l'aria il sole s'arroventa e muove il sangue nelle vene: odio passione amore covano i sassi, sugli scogli e lungo le cimase passa un rintocco arancio che si spegne dietro una vite d'uva spina. Tuona e ribolle oltre il silenzio l'ala vermiglia del meriggio.

I trulli sono millenari, ma le più antiche costruzioni rimaste non risalgono oltre il millecinquecento. Si dice, e a me piace credere che sia così, che queste abitazioni contadine fossero in antico costruzioni mobili, costruite da un'ingegneria primitiva ma sapiente, per essere rimosse ad ogni spostamento di quelle prime "forza/lavoro" rurali. Perciò furono sempre ricostruite allo stesso modo, fino a quando i gruppi dei lavoratori non diventarono stanziali nell'età feudale, dei "servi della gleba". Di più, si racconta, e molti testi raccolgono questa ipotesi, che i padroni dell'epoca, non sazi di depredare i poveri coloni del raccolto, pretendessero un affitto per quelle dimore costruite sulle loro terre. Per difendersi i contadini appostavano i ragazzi di sentinella che li avvertissero dell'arrivo della locale polizia padronale con segnali di fumo. Con abile ingegno allora i trulli venivano distrutti all'istante, rimuovendo con un congegno a corda una pietra che reggeva la rudimentale struttura. Così l'abitazione era ridotta all'istante ad un mucchio di pietra. La notte seguente poi ricominciava la ricostruzione.

 

La favola dei trulli millenari

Il tuono esplode dai cannoni del porto e lo rincorre il grido d'una donna impazzita e il lampo sfarina sopra il faro la prima luce dell'alba e suona a tocchi spessi in cielo la campana : sono arrivati i Turchi alla marina ! predoni pirati normanni iberici francesi ladri papponi e malaffari profanarono il tempio del tuo corpo e le vergogne dei vecchi. Rovistarono ovunque sul tuo seno disonore di donne e di bambini e sulle basse rocce sugli scogli uomini ancora valorosi li cacciarono a mare o nelle fogne. Pietra su pietra costruirono i trulli i contadini con le cupole strette e angusto spazio per i letti con gli stessi sassi dei millenni dove uomini diversi liberi o schiavi rintanavano a sera. Ma nella notte i ragazzi sotto la luna tendevano l'orecchio allo sciacquio dell'onda nell'attesa della pallida aurora dalle rosee dita. E lì, attenti ad un frusciare tra i cespugli, o al primo nitrito dei cavalli, avvistavano il passo rapace del padrone che vi rubava il sole e il cielo: giù a dirupo là dalla scogliera al piano accendevate il fuoco e il fumo saliva verso i trulli : non sono i turchi ma i padroni che vi chiedono l'affitto! Su levate la pietra angolare contadini, distruggete la vostra casa! Quando è notte la rifarete uguale con le vostre braccia. Al nuovo buio coperti dalle stelle tacquero i canti ed ancora s'accesero lampare ai pescatori, e il silenzio lasciava il mormorio della risacca. Ma la lingua salmastra dell'oblio come il ventre d'un ingordo serpente con le sue spire tagliava la battigia con la sua bava verde: sulla rena con gli stracci e il grido orrendo d'un airone non rimase niente all'iride grifagna d'uno strano iddio.

 

Il porto di Monopoli

Scendiamo ora tutti verso il porto. Un tempo era questa la città più grande e ancora qua e là s'apre un cantiere dove tre maestri del mare per anni con pazienza preparano un barcone grande come un mostro, forte come un bufalo selvaggio. Già si stende il colore verde e marrone e si rinchioda il ponte. Di lato ad un cantone pile infinite di gomme inanellate scurano il minio giallo ed altre mani hanno filato sulla spiaggia scafi di canottaggio: lungo la cala protetta dai venti due ragazze remano dietro una sirena. Stanno arrivando le barche con le reti pulite per la nuova pesca. E' un vociare discreto mentre solo, curvo con gesti lenti un pescatore bruno sbroglia e ripara la sua rete. Qui s'intarsia il colore tutto smaglia la fretta e arde il croco amaranto della pece. Si grida da lontano un accenno, si risponde con lenta uguale cantilena. E' un dio del mare che vi cerca ? o solo avidi turisti e stretti discanti, disarmonie del sole che disegna vaghe penombre sulla baia, sono i nostri ricordi, lo stanco riandare verso cena. Qui s'è fatto subito silenzio. Come ad un rito inginocchiati nelle nostre pose, due nubi con trombe canore annunciano la gloria rossa del tramonto. Ora ci attende un desco di commiato: dal pennone più alto quasi a picco salutiamo il porticciolo, di lontano la sera di Ostuni e i filari scheggiati d' Alberobello, tra i viburni, a quando a quando, il tele svela nascosti tristi e cari cimiteri.

E' giunto, dopo tre giorni il momento del commiato, la cena d'addio, perché, anche se in diverso modo presto ci ritroveremo, questa compagnia, come sempre accade, non si troverà più così, ed è un po' come quando una troupe teatrale si prepara a sgombrare, o più semplicemente come accade ad una scolaresca a cena alla fine d'una gita scolastica.. Si sono aggiunti le mogli, i bambini, quelli presenti e quella in arrivo (Giorgia, la seconda figlia di Luca, nel grembo della mamma) e si discute ironicamente delle misteriose apparizioni e sparizioni del grande Bleck (Giancarlo). Qualcuno lo aveva dato contemporaneamente a Monopoli e a Vicenza. Qualcun altro asseriva invece che lo stesso giorno fosse stato avvistato a Bergamo da Palmerino per concordare la partecipazione al matrimonio di Yonny nel trentino. Forse è la convulsa rapidità degli spostamenti dell'Ubiquo (una trilocazione, suggeriva Cicchino, corrisponde di fatto ad una vera e propria ubiquità, come quella di Padre Pio..). Più prosasticamente, asseriva Alberto, il "numinoso", vergognandosi della imbarazzante situazione della sua squadra di cui è disperatamente tifoso, aveva paura di affrontare i lazzi malevoli dello stesso Alberto che invece stava esultando per la vittoria nel campionato dell'amata Juve. Così ci lasciamo ridendo e divorando la succulenta cena organizzata da Luca, mentre una tenue malinconia ci pervade lentamente. Io rivivo il sogno della mia vita...

 

Liebestraum (Sogno d'amore)

Giancarlo ci parla di suo padre. In questa sera d'addio la compagnia s'accende di sorrisi nuovi, Antonella è con Luca e la piccola Aurora è fresca, dolce e quieta come l'alba. Maurizio con Ilaria e Matilde piccina, quasi una rondine in volo. Giancarlo raccoglie i ricordi lontani, l'osteria prima, poi la ferramenta. E' cresciuto, dice ad Enrico e Cinzia sorridente, tra campagne e autostrade, voleva far l'agrario, amava gli animali. Monica ora l'aspetta a Montecchio col suo cane infermo. Poi per caso scoprì l'informatica e le foto. Forte come un eroe adesso sempre in dieta, si riaccende nel sogno dei vent'anni tra Bob Dylan e De Gregori, poi questa bella comunità di fotografi, che è sua, spersi e uniti ad ogni appuntamento e il vino col pesce, forse un'ultima cena. Ecco trasalgo il buio e mi si slarga il giorno dentro chitarre distorte tra Woodstock e l'Isola di Wight ... o inseguo una labile tastiera con accordi sfumati dove il vento mi consuma gli occhi , caleidoscopio impazzito la notte scioglie il suo germoglio e vedo il sole, i palazzi in prospettive strambe e il senso più non non tiene la sapienza del tempo: l'onda commuove queta la rossa boa della mia vita...... Dove sei tu che m'aspetti? Ma io non son più quello che amasti, non son quello che ami. Io che sono? Mi placa la tua parola amica che mi chiama poeta e dolcemente vedo in volo la cava erbosa ove s'avvita l'agave all'ulivo, questa nostra terra dove la biscia striscia le terrazze petrose e quegli ulivi stretti, ritorti l'uno all'altro. Le nostre pèsche bianche di collina, rubate agli anfratti terrosi s'abbracciano ora a questi giallo fuoco ebbri percochi dentro il vino. E' un'altra più difficile stagione: siamo fermi e vorremmo volare, muti siamo e vorremmo gridare Vedi? l'aria ancora il respiro corrode e ti vorrei sulle brevi calate in dirupi ove il ramarro s'attorciglia tra sole e piogge in un cielo ristretto che si fa mendico. O ce ne andiamo lungo sentieri bagnati per cercarci, lunghe, uguali parole a un tavolino, donna delusa e tribolata. Cercarci per deluderci ancora o per trovarci, come sempre e per l'ora che c'è data. Tornare fra poco alla mia casa, da questa Puglia verde, a te e a un gattino malato. Ma è giorno lo stesso, qui nel cuore! La stessa fuga dei portoni per trovarti, ancora schiaccio il tuo corpo sui muri... Stranirmi dentro le tue piccole mani.... la tua bocca, non ora, non ora , quella del nostro primo bacio, così lungo che s'accesero luci alle finestre, e andar pazzi dentro i parabrezza e sfoderarci dietro l'urlo dei gabbiani. Ma solo due poveri rondoni fecero nido sul poggiolo. Ora l'ultimo grido è una sirena disperata. Ma t'avvolgo di nuovo ancora a te mi tendo e uno stormo di corvi affamati al largo turba indiscreta i nostri camposanti, appesi sul mare da Parissone a Nervi : riconosco il tuo giorno, la mia notte e la cometa che a te mi volse, quello strano e rorido germoglio di sole che si scioglie e ancora tiene! Qui con gli amici da questa veranda sul mare e sotto queste stelle, passo a passo sulla schiuma, ritorniamo al posteggio dietro una luce falba di lampare.

 

FOTOGRAFI...
...A TAVOLA!!!
...RITRATTI...
...E TUTTO IL RESTO...